Dalla Quaresima alla Pasqua

Al termine di questa Quaresima e di questo intenso triduo pasquale, alla luce dell’anno giubilare dedicato alla speranza, abbiamo l’occasione di guardare al tempo appena vissuto e di conseguenza a quello della Pasqua a cui esso ci ha preparato, sotto questa prospettiva, che non sempre si evidenzia e che invece per noi Minime e il nostro carisma di vita quaresimale è essenziale.

È difficile togliere alla Quaresima quel vestito nero luttuoso che facilmente le facciamo indossare, perché il tempo che precede la Pasqua è sentito come un tempo di mortificazione, di penitenza, di rinuncia e visto sotto questa prospettiva sembrerebbe non suscitare nessun sentimento di speranza. Ma se dicessimo che la Quaresima è tempo di vivificazione, di conversione e di liberazione, forse riusciremmo a intravedere i bei colori che essa indossa.

È vero, questi quaranta giorni che ci hanno preparato alla Pasqua, se li abbiamo vissuti seriamente, ci hanno messo in cammino verso la mortificazione, ma questa mortificazione ha avuto su di noi l’effetto di una vivificazione, come appena detto.

La mortificazione dei nostri sensi, dei nostri appetiti, che richiede un combattimento, uno sforzo, ha come risultato la morte del nostro uomo vecchio e la nascita di quello nuovo. In effetti, la Quaresima ci incoraggia a far morire quelle dinamiche che ci rallentano, quando addirittura non ci immobilizzano schiavizzandoci. Essa ci aiuta a sperare che morendo a queste dinamiche, a queste schiavitù saremo davvero liberi, in noi potrà vivere Cristo: Non sono più io che vivo ma è Cisto che vive in me (Cfr. Gal 2,20). E perché questo avvenga io devo morire e Cristo vivere. A questo sono servite la nostra penitenza e la nostra  rinuncia, esse ci hanno spinto a spogliarci di quelle zavorre che non ci permettono di camminare più speditamente verso la nostra personalissima Pasqua.

Vogliamo interpretare il passo dell’Esodo al capitolo tre, che racconta la teofania di Dio a Mosè, in questi termini: quando, dal roveto ardente, Jaweh comandò a Mosè di togliersi i sandali perché il suolo che calpestava era suolo sacro, era come se gli dicesse: se vuoi entrare in contatto con il sacro, se vuoi entrare nella mia intimità devi spogliarti di te stesso, delle tue vedute, delle tue chiusure (il termine sandalo deriva dal termine chiudere) per essere liberato da me.

Mosè effettivamente per liberare il suo popolo deve essere lui stesso libero, anche dalle sue delusioni passate, dalle sue paure, per aprirsi alla speranza, la speranza che Dio farà quanto ha detto. Questo deve avvenire per noi durante ogni cammino Quaresimale, esso ci deve aiutare a lasciarci trasformare e liberare da Dio: togliere i nostri sandali. Le pratiche del digiuno, dell’astinenza, dell’elemosina, servono a spogliarci delle nostre sicurezze, delle nostre comodità per permettere a Dio di rivestirci di sé.

O per dirla in altro modo, esse servono a svuotarci di ciò che non serve, di ciò che ci appesantisce e far spazio a Dio, creare il posto nella nostra vita così piena di quel che non serve affinché Dio trovi posto e vi dimori. Solo se abbiamo vissuto la Quaresima in questo modo ci siamo preparati a questa Pasqua veramente, altrimenti abbiamo perso un’occasione, ma non vuol dire che non ne avremo altre. L’importante è comprendere che la Quaresima è un vero cammino di speranza, verso la Vera Speranza: la Vita Eterna, la Resurrezione.

Purtroppo, e in questo anno giubilare si sta mettendo in risalto, noi confondiamo la Speranza, virtù teologale, con le tante piccole speranze che non hanno nulla a che fare con la prima. La Speranza essendo una virtù teologale ha come origine e fine Dio stesso, allo stesso modo della Carità e della Fede. Essa ci è concessa con il Battesimo, infusa da Dio nella nostra anima ed è la sicura attesa della Beatitudine Eterna, della Visione di Dio. Le nostre piccole speranze hanno mille origini e mille obiettivi diversi, ma sono deludenti, sono illusorie, nel realizzarle ci attendiamo una gioia che poi si manifesta sempre troppo effimera, superficiale ad esse non segue mai una resurrezione. Persino le speranze più belle, come quelle di una madre in attesa di un figlio, generano alla fine una sorta di illusione e delusione, perché neanche le relazioni più profonde, come quelle di madre e figlio possono donare alla persona una gioia piena ed eterna.

Le nostre speranze guardano a realtà temporanee, la Speranza cristiana guarda ad una realtà eterna, una realtà di pienezza, di vera e inesauribile felicità. Per questo, il tempo di Quaresima, inteso come cammino verso la Pasqua, è un cammino di speranza, essa ci fa preparare e procedere verso quella Pasqua eterna, nella quale risorgeremo con Cristo in Dio.

La Speranza non delude e di conseguenza neanche il tempo di Quaresima lo fa se vissuta veramente con intensità, con impegno, con un sincero desiderio di cambiamento. E qualora questa Quaresima sia passata così, come l’acqua tra le dita, lo ripetiamo, non abbattiamoci, anche in questo tempo di Pasqua possiamo camminare verso la conversione, anche in questo tempo possiamo chiedere a Dio la grazia per metterci in carreggiata nella nostra vita interiore. Se ci guardiamo in fondo, sappiamo su cosa dobbiamo lavorare, sappiamo che non si tratta del fioretto di non mangiare cioccolata, o di non guardare quel programma televisivo che tanto ci piace, perché tutte queste azioni, questi piccoli o grandi sacrifici se sono fine a se stessi e non hanno alla base il vero desiderio di cambiare, di convertirsi, di seguire Cristo non genereranno una liberazione, anzi, adesso che la Quaresima è terminata possiamo rischiare di riattaccarci a tutte quelle cose a cui abbiamo rinunciato per i quaranta giorni precedenti alla Pasqua ed esserne sempre più inghiottiti e assorbiti. No, dobbiamo individuare ciò che ci danneggia, ciò che ci allontana dalla vera Speranza ma ci aggancia alle vane speranze e fare guerra a questi meccanismi deleteri che ci distruggono per vivere da risorti. Incamminiamoci dunque, in questo tempo di Pasqua con animo lieto ma forte, aggrappati alla Parola di Dio, ai Sacramenti e facendo delle proposte tipiche del periodo quaresimale: digiuno/astinenza, preghiera e opere di carità, le nostre armi per il combattimento della Buona Battaglia di ogni giorno e non semplicemente della Quaresima.

Ci sarà un Passaggio al termine di questa vita (Pasqua vuol dire passaggio) lo possiamo affrontare da uomini e donne saldi nella Speranza che hanno lavorato per staccarsi dalle cose effimere di questo mondo, si sono mortificati e si sono preparati a risorgere, oppure da disperati, come chi ha riposto tutte le sue aspettative in questo mondo e ha terrore di lasciarlo non comprendendo a quale speranza siamo stati chiamati, quella della nostra vocazione (Cfr. Ef 4,4) che è essere uniti al Padre in Cristo Gesù per l’Eternità. Santa Pasqua di Resurrezione!

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